Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato che i derivati della canapa possono avere un ruolo nel trattamento di sintomi correlati a patologie del Sistema Nervoso.
La Canapa Sativa è tra le più antiche specie botaniche note al genere umano e vanta una lunghissima storia di uso e di abuso per scopi ricreativi, terapeutici e religiosi.
Dalla Canapa sono stati isolati ed identificati oltre 500 composti, ma le proprietà farmaco terapeutiche sono state attribuite principalmente al THC, delta-9-tetraidrocannabinolo, un composto psicoattivo e al CBD cannabidiolo, un composto lipidico che si trovano concentrati nella resina della pianta.
Il corpo umano possiede specifici siti di legame per i cannabinoidi, distribuiti sulla superficie di molti tipi di cellule e il nostro organismo produce i loro ligandi endogeni, chiamati endocannabinoidi i quali si legano proprio ai recettori cannabinoidi CB, attivandoli.
Il Sistema Endocannabinoide quindi è un complesso sistema endogeno di comunicazione tra cellule ed è composto da recettori cannabinoidi CB1 e CB2, i loro ligandi endogeni e le proteine coinvolte nel metabolismo e nel trasporto degli endocannabinoidi.
In base alla localizzazione dei recettori cannabinoidi nell’organismo è stato ipotizzato che il Sistema Endocannabinoide sia coinvolto in un gran numero di processi fisiologici, tra i quali: il controllo motorio, la memoria e l’apprendimento, la percezione del dolore, la regolazione dell’equilibrio energetico, l’assunzione di cibo e i ritmi sonno/veglia.
Questi recettori contribuiscono all’effetto immunosoppressivo e antinfiammatorio dei cannabinoidi in quanto modulano il rilascio di citochine.
Inoltre i recettori CB2 sono espressi da cellule immunitarie residenti nel Sistema Nervoso Centrale chiamate microglia e, quando stimolati, riducono le forme proinfiammatorie di tali cellule, risultando in una riduzione del dolore cronico.
Scienziati hanno descritto come l’attivazione di CB2 porti al rilascio di endorfine da parte delle cellule della pelle, che agiscono tramite la via oppiode dei recettori μ, contribuendo all’effetto analgesico.
Gli endocannabinoidi vengono prodotti per proteggere l’organismo da danni causati da molteplici situazioni patologiche esercitando azione antiossidativa, immunosoppressiva, antinfiammatoria e, in particolare, analgesica legandosi ai recettori CB1 e CB2 ed è stato dimostrato che essi riducono i sintomi del dolore persistente, l’allodinia e l’iperalgesia.
La percezione del dolore è un meccanismo critico di autodifesa del corpo, che permette di interrompere il contatto con uno stimolo potenzialmente deteriorante.
Quando avvertiamo dolore in maniera cronica, spesso come conseguenza di una disfunzione nervosa o metabolica, come per il dolore neuropatico, è di fondamentale importanza trovare agenti in grado di targhettizzare le vie che lo producono.
Nonostante le cause della problematica siano varie, la conseguenza è un’ipereccitazione del sistema nervoso e allodinia.
Queste due sintomatologie dolorose, l‘allodinia e l’iperalgesia, sono definite in medicina disestesie o parestesie e rappresentano i sintomi che maggiormente limitano la qualità di vita del paziente affetto da dolore cronico, in particolare da dolore neuropatico.
L’allodinia è un sintomo altamente limitante, in quanto è riferito dai pazienti come una scarica elettrica o una sensazione tipo aghi che penetrano nel corpo all’improvviso.
A queste sintomatologie dolorose si aggiungono una serie di cambiamenti neuropsichiatrici che vengono definiti in medicina “comorbidità”.
Tali comorbidità quali ansia, depressione, disfunzioni cognitive e perdita di memoria, rendono il dolore neuropatico una vera e propria patologia neurologica/neuropsichiatrica che ad oggi non ha un adeguato trattamento farmacologico.
Il dolore neuropatico è causato da un danno spesso irreversibile che colpisce il sistema di percezione del dolore e compare dopo una lesione del Sistema Nervoso Centrale o del Sistema Nervoso Periferico.
Ciò comporta fenomeni di riarrangiamento della comunicazione dei neuroni che rende la percezione di stimolazioni innocue come dolorose.
I processi che sostengono il dolore neuropatico possono venire raggruppati in due grandi categorie:
1) La genesi ectopica di impulsi nocicettivi:
In altre parole questi sono impulsi elettrici anomali generati da assoni o gangli.
2) L’ ipersensibilità dei neuroni nocicettivi centrali:
A livello del corno posteriore, del talamo e della corteccia sensitiva sono stati identificati due tipi di neuroni nocicettivi.
In condizioni di normalità, questi due tipi di neuroni possiedono comportamenti differenti e ben identificati:
Il primo è connesso perifericamente solo con fibre dolorose e risponde solo a stimoli dolorosi.
Il secondo risponde a stimoli di bassa intensità con basse frequenze di scarica e a stimoli di elevata intensità dolorifica con elevate frequenze di scarica.
Il dolore cronico in generale, e neuropatico nello specifico, rappresentano oggi il primo target terapeutico per i medicinali a base di cannabinoidi.
Sebbene i cannabinoidi siano meno potenti degli oppiodi esistono diverse forme di dolore, incluso il dolore neuropatico di diversa natura o anche patologie ancora non ben definite da un punto di vista eziopatologico come la fibromialgia, in cui l’impiego di oppiacei ha scarsa efficacia.
Il motivo potrebbe essere dovuto alle scariche spontanee che portano alla sensazione di dolore localizzate principalmente nelle fibre mieliniche afferenti di tipo A, ricche in recettori cannabinoidi, ma non di recettori oppioidi.
Studi clinici ancora non pubblicati riportano come la terapia a base di cannabinoidi generi una sorta di allontanamento del paziente dall’attesa del dolore.
Tornando alla definizione che abbiamo dato di allodinia, una scarica elettrica improvvisa, si riesce a capire come l’attesa di questo momento è determinante nella genesi di quelle comorbidità come l’ansia o la depressione che rendono nel loro insieme queste tipologie di dolore delle vere e proprie malattie.
I medicinali correntemente in uso per trattare il dolore sono ancora principalmente gli oppioidi, ma solo circa il 50% dei pazienti trova sollievo con tali cure, evidenziando come la clinica potrebbe beneficiare enormemente da medicinali orientati alla modulazione del tono cannabinoide.
Inoltre sembrerebbe che a livello sovraspinale esista un sinergismo tra i recettori oppioidi e i cannabinoidi e che l’effetto della morfina può essere aumentato dai cannabinoidi riducendone la necessità.
Numerose evidenze scientifiche dimostrano che entrambi gli endocannabinoidi AEA e 2-AG inducono analgesia.
L’effetto analgesico dei cannabinoidi è esplicato attraverso la stimolazione dei propri recettori CB1 e CB2, ma anche mediante il coinvolgimento di sistemi di neurotrasmissione come la noradrenalina, la serotonina, sistemi di natura peptidica e sistema purinergico.
Tuttavia i mediatori maggiormente modulati dai cannabinoidi sono: il glutammato, che è l’aminoacido eccitatorio per eccellenza del nostro Sistema Nervoso Centrale, e l’acido gamma amino butirrico (GABA), che invece rappresenta l’aminoacido inibitorio più importante del nostro SNC.
A seguito di una lesione il livello di endocannabinoidi aumenta, questo avviene sia localmente, presso il sito dell’infiammazione, sia sistematicamente su altri target della via del dolore.
Tale reazione è la prima risposta antidolorifica del corpo al dolore: sintetizzare più endocannabinoidi per un duplice obiettivo:
1) inibire la conduzione di terminali nervosi che stanno trasmettendo la sensazione di dolore
2) coinvolgere mediatori antiinfiammatori per ridurre il danno al sito della ferita
In conclusione, il Sistema Endocannabinoide rappresenta uno strumento farmacologico estremamente importante per il trattamento di patologie cronico-degenerative come il dolore neuropatico e altre forme di dolore con componenti affettive ed emotive molto forti come la fibromialgia.
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